Questo articolo va ad ampliare e sostituirne uno precedente sulla regola della Soglia del Dolore di Hackmaster, pubblicato un paio di anni fa agli albori di No Dice Unrolled. Perchè lo scrissi? Semplice: in quei giorni portavo avanti una campagna di Hackmaster e si era giunti a un punto denso di combattimenti! I tre fratelli nani Redbeard e i loro compagni avevano iniziato a dirigersi al nord per liberare la comunità nanica di Coldhall, invasa da una tribù di orchi. Uno spunto per raccontare una delle meccaniche che più mi piacciono dell’affascinante sistema di Hackmaster!
Hackmaster e la Soglia del Dolore
Iniziamo col dire che Soglia del Dolore è una mia traduzione in quanto Hackmaster è un gioco unicamente in inglese. L’originale è Threshold (traducibile con “soglia, limite”) of Pain. Il concetto che vuole trasmettere è che ogni creatura ha un limite di sopportabilità del dolore oltre alla quale non riesce a subire il danno rimanendo attiva e in piedi. Indipendentemente dalle condizioni di salute. Il sistema di Hackmaster è un d20 system ispirato a D&D, quindi molti concetti sono comprensibili a chi mastica il gioco di ruolo più famoso del mondo. Il ragionamento di base è che un personaggio con, ad esempio, 50 punti ferita (d’ora in poi pf) che subisce 20 volte un danno di 1 pf non rischierà mai di crollare a terra. Diversa sorte potrebbe avere lo stesso personaggio se perdesse, in una sola volta, 15 pf.
E’ sensato e facilmente intuibile. Eppure un giocatore di D&D preferirebbe subire 15 pf di danno e rimanere così a 35 pf, mentre un giocatore di Hackmaster vi firmerebbe per poter scegliere di ricevere “solo” 1 danno per volta, anche rimanendo a soli 30 pf. Tra l’altro in Hackmaster guarirebbero anche in tempi molto diversi…
Vediamo come la teoria viene applicata. Per capire la regola della Soglia del Dolore va ricordato che in Hackmaster, a differenza di D&D, le armature non aumentano la probabilità di essere mancati (anzi, spesso la riducono), ma servono ad attutire il danno. Per questo Hackmaster mi piace: è un gioco sensato e intuitivo, sebbene possa sembrare un po’ crunchy all’inizio. Ad esempio le regole per gli scudi partono dal presupposto che chi ha uno scudo cerchi di usarlo per intercettare l’arma avversaria e quindi non servono ad aumentare la Classe Armatura, ma se vi va ne parleremo un’altra volta. Torniamo alla Soglia del Dolore.
La Regola di Hackmaster della Soglia del Dolore
In Hackmaster ci sono i punti ferita e, per la maggior parte dei personaggi giocanti la Soglia del Dolore è pari al 30% dei pf + 1% per livello. Per fare un esempio il nostro personaggio da 50 pf, ipotizzando che sia di sesto livello, avrebbe la Soglia del Dolore a 18 punti ferita. Quando si subisce un danno che, al netto di riduzioni e assorbimenti, supera la Soglia del Dolore, la creature deve tirare un d20 e ottenere un risultato più basso della metà del valore di Costituzione o essere sopraffatta dal dolore. E’ il primo colpo? O è il critico fortunato di un coboldo morente? Magari una tegola che è caduta in testa nel punto giusto? Se non ha successo nella prova di Costituzione, chiamata Prova di Trauma, il personaggio va giù.
Rimarrà così, a terra, rotolandosi per il male per un totale di 5 secondi (in Hackmaster non ci sono i round, si calcola il tempo che passa in secondi) moltiplicato la differenza tra quanto avrebbe dovuto fare per superare il tiro e quanto ha fatto. Torniamo al nostro amico da 50 pf, diamogli un generoso 16 di Costituzione e ipotizziamo che abbia subito 20 danni al netto delle riduzioni. Ahia! Ora con un d20 deve fare 8 o meno oppure il dolore avrà la meglio. Se farà un 12, ad esempio, rimarrà a terra incapace di fare qualunque cosa per [5x(12-8)]=20 secondi. Un’eternità in un combattimento.
D&D è per i Ragazzini, Hackmaster è per gli Uomini
Se cerco un gioco duro, senza cuore, dove tattica e dadi decidono il destino del mio personaggio, allora scelgo Hackmaster a occhi chiusi. Ha tante regole, più realistiche di molti sistemi fantasy più famosi, che lo rendono tattico e interessante. Ma va accettato che il combattimento sia molto pericoloso. Ho visto il mio gruppo di avventurieri avere paura di affrontare dei goblin. Farlo con attenzione, senza mai dare nulla per scontato. E godere incredibilmente nel riuscire a metterli in fuga.
In Hackmaster questo è per merito anche della regola della Soglia del Dolore. Ma è così facile finire a terra? Si subiscono così tanti danni? Non sempre, sennò sarebbe un gioco al massacro, ma può capitare. Come nella realtà: certe cose non capitano spesso, ma quando capitano sono molto pericolose. Molti sistemi più votati a rendere dei 15enni pronti a combattere le divinità nel giro di 5 avventure ignorano questo aspetto. E va bene così, per quel tipo di gioco e quel tipo di storie. Beh, Hackmaster non è quel tipo di gioco. Arrivare al quinto livello è quasi un sogno, ma quando capita è un’enorme soddisfazione.
Dopodichè, la Soglia del Dolore vale anche in positivo. Un paio di colpi ben assestati e si può ribaltare l’esito di un combattimento e, con tanta fortuna, anche una pericolosa boss fight può risolversi in un unico colpo. Come dite? Toglie il gusto? Andatelo a dire ai cadaveri degli avventurieri che lastricano la strada che conduce allo scontro finale!
Quali Regole di Hackmaster Rendono la Soglia del Dolore Presente e Pericolosa a ogni Livello
Spesso la mortalità di un gioco è molto alta ai primi livelli, quando i personaggi hanno meno resistenza. Poi, col passare del tempo, è sempre più difficile instillare nei giocatori la paura di poter perdere il personaggio da un momento all’altro. Per bene comprendere la Soglia del Dolore di Hackmaster tenete in considerazione alcuni altri aspetti di questo gioco:
I dadi esplodono, più o meno. Ma un’ascia da battaglia, che infligge 4d3 tanni, fa ritirare per ogni “3” che esce. Si possono fare 4 danni come 20.
Le caratteristiche alla creazione si tirano con 3d6. Niente sconti. Poi si possono aumentare un po’, ma già avere 14 di Costituzione è un grande risultato.
Gli scudi servono solo per attacchi dal lato in cui si impugnano, difendersi contro attacchi alle spalle è difficilissimo. Insomma, combattere da soli contro 4 coboldi non è uno scherzo, neanche dopo qualche livello.
Se una creatura è a terra, incapacitata, un’altra creatura può darle il colpo di grazia in 10 secondi o meno (gli assassini in 2) e addio mondo crudele.
Tirando le Somme
Questi erano solo alcuni esempi di come funziona Hackmaster e la regola della Soglia del Dolore. Non può certo piacere a tutti, non è per forza la miglior regola per rendere realistico un combattimento. Va innanzitutto collocata nel giusto gioco. Gioco che deve essere consapevolmente scelto dai giocatori per le sue caratteristiche. Richiede qualche calcolo in più, un po’ di attenzione in più, ma ripaga in verosimiglianza e tensione positiva. Fatte queste premesse, se si cerca un gioco in cui i combattimenti sono difficili, mortali e imprevedibili, senza che siano però completamente in mano al risultato del dado, io consiglio vivamente di provare Hackmaster.Anche se nella sua veste grafica retrò mostra ancora il bikini chainmail!
L’ho fatto giocare per tanto tempo con un gruppo che l’ha apprezzato molto. Ancora oggi sono sicuro che la maggior parte di loro mollerebbe qualunque altra campagna se ne proponessi una ad Hackmaster. Da master posso dirvi che è un sistema non immediato da padroneggiare, perchè ci sono molti aspetti da gestire contemporaneamente. Per i giocatori ci va un po’ di tempo per impararlo. Ma quando poi si prende il ritmo si vola. Ogni secondo conta, ogni mossa è importante, ogni dettaglio può fare la differenza. Si combatte con la sensazione di essere sempre pericolosi ed essere sempre in pericolo e il cuore e il cervello rimangono incollati al tavolo da gioco.
Se ti è piaciuta questa spiegazione di una delle regole di Hackmaster, faccelo sapere e realizzeremo più articoli come questo!
Questo articolo nasce dagli spunti forniti da due manuali che ho letto ultimamente, cioè Agents of Concordia e il gioco di cui mi sto innamorando (vedasi articolo sulle mie relazioni con le campagne), The Burning Wheel. In entrambi vi è una sezione dedicata a come strutturare una sessione di gioco, sebbene con approcci e fini differenti. Non sono ovviamente i soli giochi che danno esplicitamente consigli sull’argomento, ma forniscono un punto di partenza per parlarne. Se qualcuno avesse altre letture da aggiungere nella trattazione fatemelo sapere!
Questo articolo vuole trattare l’argomento per quanto riguarda le sessioni al tavolo. Benchè parte del discorso possa adattarsi bene anche al gioco online, alcuni aspetti sono profondamente diversi.
Bisogna parlare di come strutturare una sessione?
Il fine ultimo del gioco di ruolo è essenzialmente divertirsi. Seguendo questo dogma io sono molto liberalista. Cambiare regole, togliere limiti, aggiungere eccezioni, modificare statistiche, prendere un aspetto di un gioco e usarlo per un altro, tutto si può fare. Basta che ci sia consenso tra i giocatori e che questo comporti un miglioramento dell’esperienza di gioco. Solo per mettere le cose in chiaro, non vuol dire che io lo faccia spesso, anzi. Dico solo che non vedo alcun problema nel farlo.
Credits: Cak Cakulien
Quindi di conseguenza anche una sessione va strutturata come meglio si preferisce, basta che funzioni. Ogni gruppo ha le sue abitudini, le sue situazioni, pertanto non esiste un paradigma uguale per tutti. Ma secondo me è bene ogni tanto fare il punto della situazione e vedere cosa viene suggerito da altri giocatori. Magari c’è uno spunto interessante a cui non si era pensato. Vediamo quindi nel dettaglio cosa suggeriscono questi due manuali.
La sessione secondo Agents of Concordia
Il manuale di Agents of Concordia suddivide la sessione in cinque parti.
Primo punto, il momento “sfogo preventivo”. Parte dal presupposto che, poiché si ha un buon rapporto con i propri compagni giocatori, bisognerebbe darsi circa venti minuti di tempo per parlare d’altro, raccontarsi come va la vita e parlare del più e del meno. Questo affinchè tali argomenti non escano fuori durante il gioco, rovinandolo.
Secondo punto, preparare il mood. Questo vuol dire trovare le giuste luci, magari una musica adeguata, ma anche spegnere eventuali schermi e allontanare gli smartphone.
Terzo momento, l’immersione. Allontanate tutte le fonti esterne di distrazione, è tempo di focalizzare l’attenzione. Dare un momento ai giocatori per ritrovare il loro personaggio. Il master chiede come si sente ogni singolo personaggio e fa a ognuno una semplice domanda, ogni volta diversa. Qual è il cibo preferito o un ricordo di infanzia. Questo serve ad aiutare il giocatore a ricominciare a pensare come il suo alter ego e agli altri compagni a connettersi meglio con lui.
Credits: Ismail Inceoglu
Quarto punto, il riassunto. Ricapitolare dove si è arrivati con la trama, cosa è successo nell’ultima sessione. In questo modo si aiuta il giocatore a reimmergersi nella storia, oltre ad aiutare eventuali assenti a riempire le lacune. Come aggiunta personale direi anche che permette di capire cosa è rimasto impresso nella mente dei giocatori. E’ un feedback utilissimo perchè ciò che racconteranno e come lo racconteranno permette di capire quanta presa ha su di loro ogni singolo elemento della storia.
Quinto momento, finalmente si gioca!
Come strutturare una sessione secondo The Burning Wheel
I manuali di The Burning Wheel sono veramente pieni di nozioni e di buone idee, ma in realtà non parlano esplicitamente di come strutturare una sessione. Viene però dato un suggerimento, necessario per via del particolare sistema del gioco.
The Burning Wheel non ha punti esperienza o livelli. Si migliorano le abilità che vengono usate e solo se si fanno un determinato numero di prove di una certa difficoltà. Ma c’è un altro sistema a punti, chiamati Artha, che premia l’interpretazione e il raggiungimento di determinati obiettivi prefissati. I punti Artha così ottenuti possono essere spesi per facilitare le prove o ottenere particolari vantaggi o miglioramenti.
Per poter capire se le azioni di ogni singolo personaggio sono meritevoli di uno o più punti si suggerisce di terminare la sessione con un quarto d’ora in anticipo e utilizzare quel tempo per far leggere ad alta voce i descrittori interpretativi (nello specifico traducibili con le “Convinzioni” e gli “Istinti”) del proprio personaggio. In questo modo risulta lampante se durante la serata sono venute fuori le sfaccettature caratteriali, gli obiettivi e, appunto, le convinzioni di ognuno. E’ un momento di valutazione personale e confronto costruttivo con gli altri su ciò che si è riusciti a esprimere e ciò in cui si sono mostrate carenze.
L’importanza dell’immersione
Uno dei motivi per cui ho deciso di scrivere questo articolo è stato il primo punto descritto dagli autori di Agents of Concordia. Con la forzata necessità di collegarsi online per continuare a giocare, mi sono reso conto di quanto mi manchino le due chiacchiere che si fanno prima della sessione, come anche la lettura degli sguardi, delle espressioni o i momenti di ilarità collettiva che nelle attuali condizioni non riesco a vivere. A causa delle connessioni io e i miei compagni abbiamo solo l’audio, a volte neanche con qualità ottimale. La nostalgia del tavolo mi ha portato a pensare alle sessioni e poi a questo articolo.
Credits: Kate Fox
Come ho già scritto i suggerimenti elencati qui sopra non devono essere considerati delle regole nette, da applicare con tanto di timer e tabella di marcia. Sono però spunti interessanti. Alcuni di questi vengono già probabilmente usati da molti di noi, più o meno consciamente. Mi è molto piaciuto il momento dell’immersione suggerito da Agents of Concordia. L’idea di non limitarsi a iniziare, ma di accompagnare la nostra mente e la nostra concentrazione verso una situazione ottimale di gioco può essere veramente utile. Ancor di più se lo si fa attraverso un piccolo approfondimento di ogni personaggio.
Il valore del debriefing
The Burning Wheel dà un suggerimento diverso, perchè è meno universale rispetto a quelli precedenti, cionondimeno per alcuni giochi può essere utile. A volte quando si portano avanti lunghe campagne piene di spunti o ricche di possibilità, si rischia di perdere per strada qualche caratteristica di un personaggio.
Un personaggio non giocante citato nel background, una promessa fatta nelle prime sessioni, un oggetto serbato nello zaino e mai più considerato. Può capitare di essere presi così tanto dagli ultimi risvolti della trama o dalle proprie gesta più recenti che si rischia di perdere contatto con le radici che sono state le fondamenta del personaggio.
Credits: Night Watchart
In questo senso prenderei in prestito non solo i 15 minuti finali, ma proprio il concetto stesso di avere scritte sulla scheda i principali descrittori caratteriali e motivazionali del proprio eroe può servire a mantenere a fuoco l’interpretazione e le scelte future. Anche senza che ci sia un nesso con le regole del sistema.
Un’ultima considerazione
Vi invito a non sottovalutare questi suggerimenti. Mentre scrivevo ho riflettuto e mi sono proprio reso conto che, anche se le nostre sessioni ci divertono così come sono, non bisogna dimenticare che si può sempre migliorare.
Le idee che ho riportato non possono essere universali, ma sono sicuro che in molti casi potrebbero fare la differenza tra strutturare una sessione di GIOCO di ruolo oppure una di gioco di RUOLO.
Continuate a seguirci per leggere altri suggerimenti su come poter migliorare le vostre sessioni!
Certe tematiche e certe polemiche hanno la peculiare caratteristica di espandersi in maniera capillare, proprio come è successo con il precario equilibrio tra razzismo e politically correct nel mondo dei GdR. Ormai è da alcune settimane che si sta dibattendo su cosa sia troppo e cosa invece faccia parte della libertà di espressione; cosa superi l’offesa e cosa invece sia un parere espresso in maniera legittima. Mi sono preso un po’ di tempo per rifletterci, ma penso che sia giunta l’ora di esternare il mio punto di vista.
Prima però una piccola contestualizzazione. La questione si è inasprita dopo un evento gravissimo, ovvero il triste (e sbagliatissimo) destino toccato a George Floyd. Ovviamente non approfondirò l’argomento, qua si parla di giochi di ruolo e affini. In ogni caso mi sento in dovere di specificare che ritengo quel fatto gravissimo e che vada soppesato in maniera totalmente diversa rispetto a quanto analizzerò in questo articolo.
In ogni caso è evidente che la questione abbia sollevato varie riflessioni e questo è certamente un bene. Non dico che sia d’accordo con tutte (e in seguito capirete il motivo), ma anche solo il fatto che abbiano fermato la community e l’abbiano fatta pensare è una vittoria.
GdR, film, videogiochi: il confine tra razzismo e politically correct
Questi effetti hanno dei casi emblematici in vari settori, oltre che tra gli opinionisti. Nel cinema avrete sicuramente sentito il caso di Via col Vento. Nell’universo videoludico potreste aver sentito le polemiche attorno a Little Devil Inside. Per quanto riguarda i GdR, invece, le tematiche del politically correct e del razzismo hanno riguardato da vicino D&D5e.
Ma soffermiamoci su cosa ci compete, ovvero su questo ultimo punto. Wizards of the Coast ha deciso di scusarsi per l’iniziale approccio nei confronti degli orchi (e dei drow) e di riservare loro una maggiore profondità. Finora la loro natura all’interno di questo universo narrativo è sempre stata crudele e spietata, essendo loro irrimediabili progenie del male. Questo è necessariamente un problema? Dipende. Se si vuole rimanere fedeli alla tradizione assolutamente no, il gioco di ruolo tende a creare degli stereotipi e a formare un concetto di “male” tangibile. D’altro canto ci si potrebbe chiedere perchè sempre loro? La loro origine li ha corrotti e reso cosa sono, ma questo non può essere stucchevole?
Fornire una risposta di getto sarebbe controproducente, meglio spezzare la questione in fattori e affrontarli singolarmente. In questo modo il ragionamento si evolve su più assi.
L’asse del tempo
Prima di tutto va notato che quando queste concezioni di creature sono nate, l’epoca era un’altra e la sensibilità anche. La società per fortuna si è evoluta e questo ha creato una frattura nei confronti di opere che, per decenni, hanno rifiutato di volersi evolvere. Questo significa che il GdR era pregno di razzismo e l’attuale politically correct lo stia redimendo? Assolutamente no. La tradizione di certi universi ha ragione di essere rispettata, ma non deve diventare una regola. Mettere degli elfi di colore nella serie The Witcher al solo scopo di apparire corretti può stonare, poichè va contro le leggi che governano quel mondo e non può far altro che apparire come una forzatura.
Allo stesso modo sarebbe trovo triste vedere che in ogni universo narrativo fantasy le razze classiche abbiano all’incirca le stesse caratteristiche: elfi raffinati e altezzosi, nani bonaccioni o scorbutici e orchi violenti. All’inizio perchè non era considerato razzismo? Non è perchè ora siamo troppo critici, ma piuttosto perchè al tempo quella era una novità. Creare un mondo come la Terra di Mezzo di Tolkien in cui gli orchi sono creati come creature intrise di male non è affatto scorretto. Mantenere le stesse caratteristiche in qualsiasi altra opera fantasy per quarant’anni invece può esserlo.
Il tempo quindi ha un ruolo importante in questa analisi. Un mondo nato con certe leggi è giusto che possa mantenerle senza essere additato come razzista, ma allo stesso tempo deve sempre sentirsi libero di evolversi nel caso lo ritenga necessario.
L’asse della circostanza
Questo è forse l’aspetto meno ideologico e più pratico. Noi parliamo da fruitori di contenuti, ma bisogna considerare che quelle opere sono il mezzo di sostentamento degli addetti ai lavori. Come si fa a biasimare chi decide di reinterpretare in chiave più moderna la propria opera per fare in modo che questa continui a essere apprezzata e acquistata? Una simile scelta non andrebbe vista come un “vendersi”, ma piuttosto come un cercare di andare incontro alle richieste della società invece di fare gli integralisti e vedere la propria opera morire lentamente. Poi ovviamente questo discorso è molto più pertinente alle opere “giovani”, poichè quelle più datate è probabile che abbiano un bacino d’utenza stabile.
E non dimentichiamo un fattore: l’ultima parola spetta all’autore, non alla critica. La gente può essere più o meno d’accordo con un’eventuale smussatura di certi aspetti e può di conseguenza scegliere se interessarsi o meno al prodotto. Ma dovrebbe sempre essere l’autore a dare l’ultima parola sul lavoro che sta creando. E sebbene possa sembrare banale, negli ultimi anni non sempre è stato così.
In altre parole dovremmo sempre cercare di analizzare le scelte in relazione alla società e non come concetti astratti e slegati da ogni logica. Il gioco di ruolo spesso rappresenta una via di fuga o una versione alternativa della realtà in cui viviamo; non tenere in considerazione quest’ultima sarebbe un errore di valutazione.
L’asse della finalità
Un altro aspetto determinante è il fine che si vuole dare ad un’opera. Nel caso si voglia continuare una tradizione, ho già espresso il mio parere a riguardo. Ma non sempre è così: per comprenderlo a pieno dobbiamo provare a metterci nei panni di chi non è nella nostra situazione.
A molti potrà sembrare quasi assurdo legare i GdR ai discorsi sul razzismo e sul politically correct, ma non lo è. Molti di noi conosco il settore da anni o hanno addirittura assistito alla sua nascita, ma non per tutti è così. Proviamo a immaginare come sia per un ragazzino inserirsi in un mondo in cui il razzismo dilaga ed è la normalità per tutti. Un giovane che non ha modo, tempo e/o voglia per recuperare decenni di opere e contestualizzazione. L’idea trasmessa potrebbe essere tranquillamente travisata. Ma come detto prima questo non significa eccedere con il politically correct: basta avere bene a mente quale sia il target di un’opera ed esplicitarlo.
Quindi come si trova un equilibrio nel discorso tra razzismo e politically correct nei GdR?
E questo forse è proprio ciò che servirebbe per porre fine a tutte queste diatribe: classificare. Rendere ben palese quale sia il pubblico adeguato per un determinato gioco di ruolo. Come sempre l’equilibrio potrebbe essere la soluzione corretta; troppe restrizioni o troppo menefreghismo potrebbero essere dannosi in egual misura. Porre questi limiti permetterebbe a tutti di fruire di un prodotto adatto a sè, senza turbare i partecipanti nè limitare chi desidera contenuti più spinti.
In questo modo durante la sessione 0 di una campagna si può scegliere un approccio che aggrada tutti i partecipanti, ben consci di cosa proponga un determinato prodotto. L’importanza di questa circostanza si nota anche sotto altri aspetti, non solo quello del razzismo; in sessione 0 si possono anche escludere tutte quelle altre tematiche che potrebbero rovinare l’eperienza di gioco di alcuni partecipanti.
In ogni caso questo discorso si riaggancia ad uno più ampio, che merita di essere citato.
I tabù: come gestirli in maniera efficace
L’idea di oscurare un argomento per evitare che diventi un problema è sbagliata. Se si tratta di motivi specifici o traumi personali è un conto, ma adottare questa mentalità in maniera trasversale è principalmente un danno. Non voler trattare argomenti perchè “brutti” o pesanti non aiuta a sensibilizzare. Molto meglio viverli (in gioco) e farsi un’idea di quanto siano sbagliati, in modo da imparare a non tollerarli nemmeno nella realtà.
Negare l’esistenza di questi orrori non li fa riconoscere come tali e toglie ogni possibile sfogo a riguardo. E se il discorso dovesse allargarsi seriamente ad altri ambiti, la situazione peggiorerebbe ancora. Eccedere nel politically correct per combattere il razzismo e altri mali, rischierebbe di togliere troppo valore ai GdR e agli altri metodi di intrattenimento. Provate a pensare se il discorso fosse esteso a libri, film, serie TV,… Niente più drammi personali conseguenti a tragedie, niente più horror, niente più opere “pesanti”… No, per me questo (seppur esagerato) non è un panorama auspicabile. E il discorso “nei GdR c’è più immersione” non regge: una mente vulnerabile si fa influenzare da qualsiasi fonte.
Per concludere ribadisco che a mio avviso risulta molto più utile non cadere nell’eccessivo proibizionismo, ma limitarsi a criticare il cattivo gusto; in questo modo si lascia autorialità ai creatori di contenuti e la responsabilità di cosa affrontare spetta al singolo. Trasparenza, apertura mentale e maturità, ecco cosa serve.
Continuate a seguirci per sapere il nostro punto di vista su argomenti spinosi come il razzismo e il politically correct nei GdR!