Oggi vi proponiamo la recensione di Death in Space, un gioco di ruolo minimale (ispirato al genere OSR, ma modernizzato) che ci permette di vivere un horror profondo e… spaziale.
Innanzitutto vogliamo ringraziare Free League per avercene inviata una copia digitale, assieme a Christian Plogfors e Carl Niblaeus. I due autori di Stockholm Kartell pubblicano infatti sotto Free League Workshop, l’etichetta che la casa editrice svedese riserva ai game designer indipendenti. Se Stockholm Kartell vi suona familiare, è perché stiamo parlando dei creatori di Mörk Borg. Uno dei fenomeni più rivoluzionari nel mondo dei GdR degli ultimi anni. Se non sapete di cosa stiamo parlando, potete consultare la nostra recensione. Piccolo spoiler: dire che ci è piaciuto sarebbe riduttivo.
Se dopo questa recensione vorrete provare Death in Space, o se vi fidate a scatola chiusa di Stockholm Kartell e Free League, potete trovare questo manuale sullo store di Free League al costo di 298 corone (poco più di 24 euro).
Recensione del Manuale di Death in Space
Come tutti i prodotti di Free League, la qualità del manuale di Death in Space è altissima. Un volume solido e compatto, 136 pagine con una fettuccia a fare da segnalibro che contribuisce sempre a sottolineare la cura per il dettaglio cui la casa editrice ci ha abituati. Per quanto riguarda l’estetica, siamo su un livello superiore, né più né meno. Chi ha sfogliato Mörk Borg o i suoi ricchi supplementi, sa quanto la costruzione grafica sia importante per Stockholm Kartell. Importante ma mai completamente fine a sé stessa: ogni pagina ha un’estetica curatissima per essere perfettamente funzionale al gioco.
Sfogliare Death in Space significa immergersi completamente nella sua ambientazione già soltanto a colpo d’occhio, prima di leggere. Uno stile grafico minimal, pagine nere con testo bianco e ogni capitolo con un colore sgargiante a sostituire il grassetto, dosato con estrema cura. Il risultato è facilmente leggibile, con tutti i pregi di uno stile minimale. Ma l’impatto è assoluto, e la sensazione di perdersi nella pagina scura ricorda un po’ quella di chi si affaccia nel Vuoto dello spazio.
Le illustrazioni non sono molte, ma perfettamente funzionali al gioco. Per lo più ricordano blueprint di navicelle e stazioni spaziali. Alcune ritraggono dei PNG, altre creature dello spazio profondo. Il concetto fondamentale è però che quanto presentato in Death in Space va immaginato, ma non colto del tutto. L’efficacia della narrazione è così massimizzata: difficilmente potremmo raffigurare gli orrori del Vuoto cosmico con la stessa efficacia con cui li immagineremmo.
Recensione dell’Ambientazione di Death in Space
Il setting di Death in Space è molto spartano; una scelta deliberata, è evidente. Vengono offerti spunti gioco, più che una vera e propria ambientazione ben articolata. Quello che sta particolarmente a cuore agli autori è definire il mood del gioco. E con esso le atmosfere e le tematiche da approfondire in gioco.
L’ambientazione è ovviamente lo spazio remoto. Nel sistema di Tenebris, che ancora risente degli effetti della ventennale Gem War, un’umanità alla deriva cerca di sopravvivere come meglio può. Contrabbandieri, esploratori, minatori, cultisti. Tutti alla ricerca di qualcosa che permetta di migliorare un po’ il proprio tenore di vita. Mettere le mani su un ingente quantitativo di Gemme, materiale fondamentale per le avanzate tecnologie che permettono all’umanità di dominare la galassia, è sicuramente il modo più semplice.
Gli spostamenti su breve distanza vengono effettuati a bordo di navicelle spaziali. Quelli a lunga distanza avvengono invece grazie a una tecnologia che l’umanità ha trovato nello spazio, che permette dei salti da una struttura all’altra, dislocate a distanze altrimenti insuperabili anche con il sonno criogenico. Gli esseri umani si radunano in comunità più o meno coese; solitamente meno. La sopravvivenza non è solo una questione individuale, ma sociale. Che si tratti di colonie, stazioni artificiali, paesi commerciali o miniere, le comunità umane sono poche e con l’incombente sensazione del Vuoto pronto a divorarle.
Le Basi del Gioco
Il gioco di cui vi parliamo strizza molto l’occhio agli OSR, i giochi Old School Reinassance, e di questi mantiene molti punti fermi. Molte tabelle casuali per portare avanti il gioco, mortalità elevata, regole estremamente sintetiche. Le atmosfere claustrofobiche sicuramente contribuiscono a rafforzare quest’impressione. Death in Space però strizza anche l’occhio a meccaniche più moderne. In particolar modo, le mutazioni provocate dal vuoto cosmico danno un sapore particolare al gioco.
È inoltre possibile gestire completamente il proprio hub. Che si tratti di una stazione spaziale o di un’astronave, le regole permettono di personalizzarlo a proprio piacimento. Ed eventualmente affrontare anche una battaglia spaziale, con precise regole di ingaggio sulle varie distanze. Ovviamente ogni nuova opzione o manovra richiede energia. Questa diventa un elemento cruciale di Death in Space. Per avere un hub in grado di fare la differenza, l’approvvigionamento energetico è fondamentale.
Per il resto parliamo di un gioco dal regolamento estremamente spartano. In piena filosofia OSR, i tiri di dadi sono pochi e la matematica molto elementare. Un dado da 20 viene sommato al punteggio della caratteristica rilevante: Body, Dexterity, Savvy o Technology. Situazioni particolarmente favorevoli (o sfavorevoli) vengono risolte con il vantaggio (o lo svantaggio). Una meccanica sempre più diffusa, che permette di tirare due dadi scegliendo il migliore (o il peggiore).
Cosa Aspettarsi dal Sistema
Come lecito aspettarsi, Death in Space è molto ricco di tabelle per effetti casuali, e delle più disparate. Trappole che si possono trovare negli agglomerati di relitti spaziali, ad esempio. O effetti che può avere il vuoto cosmico sui personaggi. In puro stile OSR, anche la generazione del personaggio può essere completamente affidata al caso. E con risultati sorprendenti.
Come anticipato, le meccaniche sono volutamente scarne. Vengono arricchite dal sistema di gestione dell’hub, dalle regole per il viaggio nello spazio e da quelle per il combattimento tra navicelle. La gestione delle risorse diventa un fattore fondamentale in gioco. Di conseguenza il focus viene incentrato sulla sopravvivenza e sull’esplorazione.
Il mondo di gioco è tratteggiato in maniera molto scarna, questo già l’abbiamo detto. Ma ci sono riferimenti sufficienti per ricostruirne la storia. Molto utili sono i riferimenti alle principali fazioni che si possono incontrare durante i propri viaggi. Filosofie e religioni estreme, spesso dai tratti inquietanti, che contribuiscono a rendere ancora più opprimente una sessione di Death in Space.
Welcome to the Ring
A fare da appendice a Death in Space c’è un’avventura introduttiva, Welcome to the Ring, in cui i personaggi accedono al Ring, un ammasso di hub che è diventato un vero e proprio avamposto umano. Persone di ogni specie frequentano il Ring, aggregandosi in fazioni di ogni specie.
Il gruppo viene introdotto in una situazione già parzialmente evoluta. Le nostre recensioni evitano spoiler, ma possiamo anticiparvi che il settore del Ring in cui si trova è conteso tra due fazioni. Ognuna di esse gestisce risorse utili sia per il settore che per i personaggi. L’avventura non segue uno schema di eventi predefinito. Anzi, più che avventura, sarebbe corretto definirlo uno scenario. I personaggi diventano un nuovo attore in scena. Come tutti gli elementi messi a disposizione del game master evolveranno dipenderà dalle loro scelte.
Conclusione della Recensione di Death in Space
A primo impatto, Death in Space colpisce perché ha stile. Come formato, come grafica, come impaginazione. Si tratta di un volumetto che chiede a gran voce un posto in libreria, un bell’oggetto da collezione; una cosa cui Stockholm Kartell ci ha abituati, del resto. Ma oltre all’idea geniale, c’è dietro uno sviluppo solido. Pur mantenendo un comparto regolistico e un setting minimali, lo stile di Death in Space non si limita all’estetica, ma si riflette nell’esperienza di gioco.
Non adatto a tutti i palati, sicuramente. Assicuratevi prima di avere al tavolo giocatori che non hanno problemi con atmosfere claustrofobiche. O con il senso di avvilimento davanti a qualcosa troppo più grande di loro. Ma se questo tipo di angoscia ruolistica è pane per i vostri denti, non potete lasciarvelo scappare!
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Oggi abbiamo il piacere di presentarvi la recensione di Era the Consortium, di Ed Jowett. Innanzitutto vogliamo ringraziare Shades of Vengeance per averci messo a disposizione una copia fisica del corebook, nellasua versione softcover. Era the Consortium è un gioco di ruolo fantascientifico, con ambientazione e regolamento originali.
Aspetto particolare di Era the Consortium è che si tratta di un progetto multimediale; oltre al manuale base e ai vari moduli di espansione, infatti, ci sono svariati fumetti. In generale quindi è possibile giocare un’ambientazione a tutto tondo, in continua espansione. Il setting è in effetti il punto forte di Era the Consortium, ampiamente sviluppato e pensato per essere giocabile in ogni suo aspetto.
Recensione del Volume di Era the Consortium
Come anticipato all’inizio di questa recensione, il manuale di Era the Consortium conta 292 pagine; la carta è piuttosto spessa, contribuendo a renderlo particolarmente voluminoso. Nel complesso la rilegatura è anche abbastanza robusta, ma stiamo parlando di un manuale dal formato particolarmente grande con softcover. E la copertina flessibile non solo si adatta male a volumi così ingombranti, ma lo fa ancora peggio quando si tratta di un tomo che richieda frequenti spostamenti e consultazioni. Il manuale è insomma solido, ma per sopravvivere meglio alle mani dei giocatori sarebbe preferibile la versione con la copertina rigida. Avere la scelta tra una versione più economica e una più robusta è comunque un gran pregio di questo manuale.
Le illustrazioni interne sono di buon livello. Jowett, oltre che autore, è anche art director di Era the Consortium; e ha magnificamente armonizzato lo stile dei vari illustratori. Al contrario del comparto artistico, però, l’impaginazione lascia un po’ a desiderare. La scelta di mantenere il testo su una sola colonna, su un volume dal formato così grande, è davvero poco pratica, e rende la lettura più difficoltosa. Tenere il bordo pagina con una diversa cornice per ogni capitolo è sicuramente una scelta pratica, ma avendo utilizzato motivi differenti il risultato finale non è bellissimo, a manuale chiuso.
La scelta di utilizzare dei diagrammi di flusso al posto dei più classici esempi, dopo la spiegazione della parte regolistica, ha sicuramente il suo fascino. Soprattutto per un gioco sci-fi. Il problema è che diventa una soluzione ingombrante, e spesso anche scomoda visto che per consultare molti diagrammi diventa necessario ruotare il manuale. Dei più classici esempi sarebbero stati meno suggestivi, ma sicuramente più pratici. In generale, il manuale avrebbe beneficiato molto di una maggiore cura, pensando un po’ più a chi l’avrebbe utilizzato e meno a renderlo particolare.
L’Ambientazione di Gioco
L’ambientazione è il vero punto di forza di Era the Consortium; del resto occupa le prime 135 pagine del manuale. L’aggancio è forse un po’ pretestuoso, il modo in cui l’umanità ha completamente perso memoria della Terra e del proprio passato risulta davvero un passaggio inutilmente forzato. Da lì tuttavia i contenuti si riprendono, offrendo molti spunti interessanti. Era the Consortium tratta un periodo storico ampio più o meno 500 anni, per lo più descritto attraverso racconti e resoconti che rendono la lettura più interessante: in caso contrario la sua mole l’avrebbe resa noiosa, e non sarebbe stato facile mantenere vivo l’interesse del lettore. E non si tratta banalmente di background. Era the Consortium è stato concepito in maniera da essere giocabile in ogni sua fase storica; un approccio interessante, che permette di rendere unica ogni campagna.
La conseguenza che lo rende ancora più interessante è che Era the Consortium permette di giocare vari tipi di fantascienza. Che sia l’esplorazione di pianeti sconosciuti, il confronto con razze aliene o il conflitto con esse, situazioni più prettamente belliche. C’è anche spazio per il cyberpunk, anche se per lo più quello dai risvolti sociali: nel mondo di Era the Consortium sono le mega corporazioni a farla da padrone. Il transumanesimo trova poco spazio, lasciato quasi interamente a qualche potenziamento bionico. Forse un peccato, ma va detto che ci sono già altri giochi che svolgono questo compito in maniera eccellente. Meglio duqnue evitare qualcosa di ridondante.
I Protagonisti delle Avventure: i Personaggi
La creazione del personaggio è piuttosto semplice. Prima di tutto si sceglie una delle quattro razze principali, compatibilmente con il periodo storico che si vuole giocare. È importante sottolineare che i manuali di espansione aggiungono molte nuove specie, ma il corebook è perfettamente sufficiente per giocare a Era the Consortium; gli altri volumi permettono di acquisire però nuove opzioni e varietà.
Gli umani sono, come intuibile, la razza più semplice cui approcciarsi, e sicuramente la più diffusa. Si tratta dei discendenti degli abitanti della Terra (passato del quale non hanno memoria) che si espandono nello spazio regolati dal consorzio.
Gli Elutians sono una sorta di seppie aliene, creature aggraziate e intelligenti; per interagire con le altre specie non acquatiche si muovono in corpi sintetici, che replicano l’aspetto di un essere umano.
Gli Ximians sono insettoidi che solo vagamente richiamano una figura umanoide. Forti e resistenti, hanno una propensione per gli studi scientifici, e per decenni sono stati ridotti in schiavitù dagli esseri umani in seguito a un conflitto. La loro liberazione è un fenomeno relativamente recente, nall’arco della storia.
Infine, i Vilithii sono una specie di piante senzienti con moderate capacità di mutazione, forse la razza più “aliena” come mentalità.
Recensione del Regolamento di Era the Consortium
Le regole di Era the Consortium sono piuttosto semplici, con una palese ispirazione allo Storyteller System del World of Darkness. Non ci sono classi del personaggio, solo dei background, per il resto la costruzione è libera. I punti vengono utilizzati per “comprare” le caratteristiche, che determinano le relative caratteristiche secondarie, e le abilità. Interessante il sistema di abilità flessibili: è possibile utilizzarle con svariate caratteristiche, finché si trova un utilizzo coerente. Va detto che il pool tra cui scegliere è un po’ troppo ristretto. Diventa difficile caratterizzare bene i personaggi, quando ci si trova davanti ad abilità “ombrello” con fin troppi utilizzi.
La meccanica di fondo prevede di tirare un pool di dadi a dieci facce pari a caratteristica più abilità. La difficoltà dell’azione determina il valore minimo da ottenere sul tiro, il numero di successi ottenuti determina la qualità dell’azione.
Il combattimento, purtroppo, a mio gusto diventa un po’ troppo crunchy. Nulla di impossibile da gestire, ma sicuramente rivela come Era the Consortium sia un gioco di concezione un po’ datata. Per cercare di rendere quest’approccio versatile per il genere fantascientifico che lo caratterizza, finisce per creare molte complicazioni. Non a caso una porzione considerevole del manuale è dedicata all’equipaggiamento e ai veicoli. Non al punto da diventare fan service, ma sicuramente qualche regola più universale e dall’applicazione più snella avrebbe migliorato il lavoro nel complesso.
Conslusioni della Recensione di Era the Consortium
In definitiva, Era the Consortium non è un gioco tanto innovativo da cambiervi la vita, ma non è neanche da scartare. Al di là delle varie sbavature, molti storceranno il naso dal fatto che sembri un grande patchwork di genere. Sia l’ambientazione che il regolamento sono originali; in entrambi i casi però ci sono molte fonti d’ispirazione che vanno un po’ troppo oltre i topos del genere. Un appassionato di fantascienza sicuramente coglierà molti richiami e noterà molti elementi già visti altrove. Allo stesso modo un giocatore esperto si troverà sicuramente a sorridere nel constatare le similitudini meccaniche con altri giochi.
Non si può però negare che nel complesso Era the Consortium funzioni. Proprio questo essere un lavoro di taglia e cuci lo rende molto adattabile, coprendo quella fetta di giochi sci-fi non particolarmente diffusi. Ovvero quelli dall’approccio più generalista, non mirati a creare un’esperienza di gioco particolarmente focalizzata su aspetti particolari. Se siete appassionati di fantascienza e cercate un gioco che vi permetta di svariare tra i vari sottogeneri, Era the Consortium farà sicuramente il suo lavoro; in questo modo vi potrà garantire ore di divertimento al tavolo da gioco.
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